Devo confessare che prima che mi venisse proposto di scrivere questo articolo, non sapevo chi fosse Eron e che tipo di opere realizzasse. Ho quindi aperto incuriosita un link di collegamento al suo sito e ho iniziato a sfogliare la galleria di immagini dei Mindscape.

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A prima vista, mi ha spiazzata – altra confessione – il fatto di non riuscire a riconoscerne la tecnica. Mi era chiaro che si trattasse di un artista figurativo: i suoi soggetti sono in genere figure di uomini e bambini, spesso di spalle e in controluce, poste in contesti naturali (ricorrente è la riva del mare), o in ambientazioni un po’ oniriche, se non proprio apocalittiche, di vortici di linee, simili a scarabocchi.

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La sua mano è ben riconoscibile in quei profili di animali, per lo più uccelli, disegnati a pochi tratti, quasi stilizzati, che, per quanto contrastanti, sono inseriti e messi in dialogo con le figure degli uomini, rese in maniera più accurata e realistica. Ma proprio questo realismo, associato all’effetto sfocato e alla grana molto visibile, mi ha fatto inizialmente pensare che si trattasse di fotografie rielaborate e cioè, che il suo punto di partenza fossero dei dettagli fotografici ingranditi, sui cui interveniva poi pittoricamente.

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Ma mi sbagliavo. Nessuna fotografia come base, nessun intervento pittorico successivo. Eron non è un pittore, né un fotografo. È uno “street artist” che ha (forse momentaneamente) abbandonato la strada per realizzare questa serie di quadri.
Probabilmente, se avessi visto una sua opera sulla superficie di un muro, camminando per strada, non mi sarei chiesta due volte da cosa dipendesse quell’effetto butterato e sgranato nell’esecuzione. Ma il formato rettangolare dei Mindscape mi ha tratta in inganno e non ho per nulla sospettato che tale effetto fosse prodotto dall’utilizzo di bombolette spray.

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Questo mio clamoroso abbaglio non solo la dice lunga sull’originalità del linguaggio di Eron, ma fa anche riflettere sulla difficoltà di definire l’arte in relazione ad ambienti (e tecniche) non istituzionali, sebbene siano ormai superati i preconcetti sul graffitismo come “vandalismo”, piuttosto che espressione artistica contemporanea.

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Che sia un riscatto quello di Eron, o forse semplice volontà di sperimentazione, l’utilizzo di una tecnica nuova su un supporto tradizionale quale la tela, denota un atteggiamento al tempo stesso contestatore e conservatore.

Eron è indubbiamente un artista innovativo, e la tecnica che utilizza, il suo legame con la Street art, lo dimostrano chiaramente. La sua gestualità, poi, particolarmente evidente nei cosiddetti Scribblescape, la trasfigurazione in chiave emotiva, l’autorialità e l’impeto che si riscontrano nel segno, sono tutti elementi che rimandano a ricerche tipiche della contemporaneità.

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Ma Eron è anche un artista straordinariamente tradizionale, e non solo per la scelta del supporto. Il suo ancorarsi alla figurazione, l’attenzione alla composizione, agli effetti luministici, l’allusività a un “oltre”, a un qualcosa che sta al di là di ciò che guardiamo, sia esso una sensazione, un ricordo, un sogno, una visione: questi sono tutti aspetti che denunciano una linea di continuità con la tradizione artistica del passato.

Eron si è rifugiato nello studio e, nel video che lo immortala all’opera, lo vediamo muoversi come un maestro di bottega: agita la bomboletta come il pittore che attinge al colore prima di posare il pennello sulla tela, con mano ferma definisce lentamente i dettagli, con rapidità distribuisce lo spray per gli ultimi ritocchi. E anche l’impetuosità del gesto non appare più frutto della casualità e dell’espressività fine a se stessa, ma si rivela essere un’azione controllata in funzione della figurazione e ponderata dall’assoluta padronanza della tecnica.

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Credo che l’aspetto più interessante dell’opera di Eron risieda proprio in questa e altre polarità. Non solo innovazione e tradizione, strada e accademia, ma anche oggettività e soggettività, realismo e visionarietà, norma e licenza.
Eron parte dall’obiezione, ma ha bisogno anche della regola: si serve delle prescrizioni tecniche per mostrarci una realtà oggettiva, ma poi se ne discosta e si apre a una dimensione soggettiva, personale. E allora i suoi paesaggi non sono più spazi riconoscibili, identificabili con un luogo piuttosto che un altro, ma diventano luoghi fittizi, da lui creati e da noi ricostruiti nell’immaginazione, luoghi della mente, paesaggi mentali: mind-scape.

Eron in internet: www.eron.it

Per tutte le immagini e i video: © Eron

Di Anna Ricciardi è possibile leggere in internet anche  The World’s Future: Eron e Aeham Ahmad alla Biennale di Venezia